Brano straniero
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Autores: Glauco Boato, Jacopo Massangioli, Roberto Pecorale
Tipo: Rock
NEKO AT STELLA
INTO THE WASTELAND è il terzo lavoro sulla
lunga distanza del combo toscano

Ascolta "Into The Wasteland"
#Alternative


Into The Wasteland è il terzo album dei Neko At Stella, nuovo fondamentale tassello del percorso della band stoner / psychogaze toscana, in uscita a sette anni di distanza dal precedente Shine (che seguiva l'esordio eponimo del 2013), e definito dalla rivista Rumore come pietra angolare del desert core: una sorta di nuovo sottogenere musicale, caratterizzato da wall of sound luciferinini che miscelano blues, stoner e psichedelia ad echi shoegaze, a tratti granitici, a tratti drammaticamente dilatati.
Questi sette anni sono stati necessari per maturare e mettere nuovamente a fuoco le idee, per circoscrivere con ulteriore precisione i contorni cupi dei tempi che viviamo, la terra perduta che abitiamo, ormai ridotta ad un guscio arido e morente.
Il disco nasce dalla preziosa collaborazione con Håkon Gebhardt, cantautore e musicista che ha girato il mondo alla batteria dei Motorpsycho.
Into The Wasteland esce per Dischi Soviet Studio / Santa Valvola Records in tutti gli stores digitali e in vinile venerdì 4 Aprile.

Into The Wasteland- Track By Track

Beauty Queens: demoni dalle sembianze dolci e ambigue che si prendono gioco di uomini vuoti limitati a ripetere slogan accattivanti ma senza senso, in uno strano automatismo che si autoalimenta. Blues dall’inferno, velato di occulto, tra potenza e nostalgia: il picco sonoro è fra due parti più intimiste, caratterizzate da semplici fraseggi melodici e dal gioco di dinamiche creato dalla sezione ritmica e dall'accendersi delle distorsioni.

A Dead Tree Gives No Shelter

*Serpieri Alessandro (a cura di), T. S. Eliot: La Terra Desolata e altre poesie, Milano, BUR Rizzoli, 2022, pp. 62-63.

Con queste parole T. S. Eliot descrive la primavera che perde la sua funzione vitale di rinascita, nella desolazione di un tempo devastato dalle guerre e dal vuoto.

A Dead Tree Gives No Shelter si sviluppa su diversi livelli intorno a un riff duro come un macigno. Le strofe si aprono con una melodia circolare di chitarra acida che si intreccia con l’organo, mentre la voce canta di api ancestrali, delle grida laceranti lanciate dai serpenti.
Alla fine cosa resta? Forse addormentarsi nel mare, o sognare di camminare sulla Luna, lontani dall’inferno di un mondo desolato e guasto.

Earth è una ballata persa nello spazio e nel tempo, in cui ritorna nuovamente il gioco di vuoti e pieni che caratterizza spesso la nostra musica.
Le strofe si muovono attorno a un mantra ipnotico e delicato, interrotto da improvvise esplosioni di fragore sonico, mentre una voce quasi sussurrata descrive la condizione di alienazione di un uomo e la sua lotta per spezzare le catene in cui è imprigionato dalla propria esistenza.
L’inquietudine crescente delle strofe irrompe in un ritornello dal sapore classico hard blues, al termine del quale la natura si riappropria dei suoi spazi e un fuoco devastante arde su una pira, in questo incessante dualismo che si muove tra distruzione e rinnovamento, sacrificio e purificazione.

Burning Ghosts

*Ivi, pp. 68-69.

Passo cruciale della Waste land di Eliot: una folla spettrale attraversa London Bridge, indicibile e spaventosa. Fra questi il poeta riconosce un uomo, un amico, un volto conosciuto: come Dante, nei gironi infernali. Chi sono questi spettri? Chi è il volto amico, lo spettro che conosci? Durante il lavoro di pittura e grafica di Elisa, che disegnava per noi e per il disco, i fantasmi nascevano dal foglio e da macchie di colore, come se fossero loro stessi a emergere non cercati, non voluti, in quella forma incognita, fantasmi che bruciano, non risolti, evocati dalla musica e dai suoi toni nebbiosi e onirici.
Burning Ghosts rappresenta il trait d’union tra il disco precedente e Into the Wasteland: un brano in cui i ritornelli strumentali sono inondati da un riff nervoso, sostenuto da una ritmica incalzante che va ad evolvere in un solido insieme percussivo.

Hernia
Succede spesso che i titoli dei brani siano definiti soltanto alla fine, anche dopo le registrazioni. E che per mesi o anni gli stessi vengano suonati e chiamati con numeri o nomi evocativi impubblicabili.
Non è questo il caso di Hernia, che fin dagli esordi ha assunto questo nome curioso.
Hernia non è nient’altro che un omaggio, una dichiarazione d’amore per il garage rock.
E come indicato dal manuale di istruzioni del genere, si tratta di una violenta scarica elettrica, una furia travolgente da cui ci si rialza domandandosi ma cosa è stato?.

Neverending Maze
Questa traccia nasce profondamente diversa. L’intenzione iniziale era infatti quella di un brano psych-country sporco e rumoroso, ma dopo svariati tentativi il risultato continuava a non convincerci.
Poi la svolta: si prova a togliere, a pulire e ad asciugare tutto, in una manciata di prove ecco che prende nuova vita.
E arriva una canzone dalle sonorità profondamente Nineties: un abbraccio dedicato ai figli, allo scorrere inesorabile del nostro tempo, a ciò per cui siamo disposti a lottare, sebbene ogni cosa sembri maledettamente inafferrabile e casuale come una partita a carte.

Lost Cities
Brano immediato costruito su una progressione elettrica di chitarra e una sezione ritmica trascinante. Glauco vola alto sulle vette della voce, descrivendo paesaggi fatti di predazione e tormento. Nei ritornelli sentimenti a lungo imbottigliati esplodono liberandosi, scelte da compiere dolorose, ma necessarie, presentano il loro conto. Alla fine riusciremo a vedere davvero ciò che sceglieremo, o soltanto ciò che ci verrà mostrato, ritrovandoci dentro una realtà a pezzi che non ci appartiene?

No Way Around
La traccia conclusiva si sviluppa su una linea di organo nervosa e una ritmica incalzante, mentre la voce narra la storia di un uomo intrappolato in un rapporto, combattuto tra il desiderio di resistere e quello di liberarsi. Ma l’amore trova sempre il modo di mettere in moto il cambiamento, di far germogliare una speranza. O, forse, la forza di accettare il proprio destino.
La seconda parte strumentale è una cavalcata storta e acida, accompagnata da una ritmica marziale, che parte da un piccolo abisso di inquietudine che prelude all'apocalisse finale.

Ascolta INTO THE WASTELAND QUI

I Neko at Stella nascono nel 2009, inizialmente come duo chitarra e batteria, che darà vita alla pubblicazione nel 2013 del primo album omonimo, uscito per l'etichetta Dischi Soviet Studio. Si tratta di brani da cui erompe il profondo amore di Glauco Boato per il blues delle origini, arricchito di elementi che gravitano nelle orbite del desert rock e dello shoegaze.
Dopo alcuni cambi di formazione, trovano finalmente la quadratura del cerchio nella collaborazione tra Glauco e Jacopo Massangioli alla batteria, a cui si aggiunge infine Roberto Pecorale alle tastiere.
Alla fine del 2017 esce Shine: registrato e mixato totalmente in analogico presso gli Oxygen Studios dalle mani sapienti di Paride Lanciani (formatosi con Steve Albini), è un disco solido, suonato e sudato tutto in presa diretta.
Le atmosfere si basano su continue oscillazioni tra quiete e turbamento, da melodie costruite su fraseggi di chitarra e organo che sfociano nel caos, condite con la giusta dose di psichedelia.
Nella primavera del 2025 uscirà il nuovo album Into the Wasteland, prodotto e registrato da Håkon Gebhardt, storico musicista dei Motorpsycho, nel suo Das Boot Studio fiorentino.

Into The Wasteland è stato interamente scritto e suonato dai Neko At Stella.
Registrato da Håkon Gebhardt al Das Boot Studio di Firenze, masterizzato da Matt Bordin all'Inside Outside Studio di Volpago del Montello (Tv).

Prodotto da Håkon Gebhardt e Neko At Stella.
Artwork di copertina è di Elisa Brilli.
Foto di Fabrizio Batisti.

NEKO AT STELLA: Glauco Boato (voce, chitarre), Jacopo Massangioli (batteria), Roberto Pecorale (organi, piani elettrici).

Etichetta:  Dischi Soviet Studio / Santa Valvola Records
#Psych #DesertCore

Dischi Soviet Studio