Brano straniero
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RADIO DATE
Authors: Massimo Morici, Rocco Giordano, Paolo Sciamanna
Label: Giordano
Type: Rock
Il musicista e performer Giordano presenta “M1”, il suo nuovo singolo disponibile dal 27 giugno sulle piattaforme digitali e, dal 4 luglio, nelle radio in promozione nazionale. Il brano nasce dall’esperienza di isolamento e riflessione vissuta a Berlino dallo stesso Giordano, e si sviluppa come un atto di denuncia sociale attraverso il potere evocativo del suono e delle immagini. Il titolo, “M1”, è dedicato a una figura femminile centrale per l’artista, il cui nome inizia per M; durante la registrazione della chitarra, avvenuta quasi in diretta, in due take, il pensiero di Rocco era costantemente rivolto a lei. L’esperienza berlinese, vissuta con la sola compagnia della chitarra, ha rappresentato per l’artista un momento chiave. Infatti, in un contesto in cui le parole non avevano più spazio, la musica è diventata il suo unico mezzo di espressione e comunicazione. Il brano è fortemente ispirato alle sonorità dei Pink Floyd e, in particolare, alla chitarra di David Gilmour, riferimento fondamentale per Giordano come musicista. Non a caso, durante la produzione, il brano è stato ribattezzato dallo stesso arrangiatore Massimo Morici con il titolo provvisorio di “Rocco Floyd”. Accanto a Rocco, nella fase di registrazione, sono state presenti due figure importanti, Paolo Sciamanna, responsabile delle riprese audio, e Matteo Dellabella, amico fraterno e fotografo, che ha lanciato all’artista la sfida di registrare senza l’uso di alcuna sostanza. Questo gesto ha permesso a Giordano di indirizzare lucidamente il messaggio all’amore passato.

Il videoclip, diretto da Nicolò Piccioni, affronta in modo esplicito e disturbante i temi della dipendenza da eroina e della guerra, accostati per sottolinearne la brutalità condivisa. La narrazione parte con l’immagine di un ragazzo che si inietta una dose, e si apre poi in un incubo visivo dove il dolore personale si fonde con l’orrore collettivo: un montaggio di volti, luoghi e simboli di potere che incarnano i conflitti e la disperazione del nostro tempo. La scelta di associare l’uso di droghe alla guerra nasce da una riflessione personale dell’artista, che ha vissuto un periodo difficile e ha intuito un parallelismo tra il viaggio distruttivo delle sostanze e quello, ancora più spaventoso, della realtà che ci circonda. Il videoclip, ancora in lavorazione, è realizzato con un tool di IA che reinterpreta in modo creativo e visionario le immagini fornite in input. Si tratta di un lavoro di selezione visiva e denuncia mirata, con l’obiettivo di condensare il malessere globale in una rappresentazione tanto allucinata quanto concreta, come se fosse il frutto della mente di un tossicodipendente sotto effetto di eroina.

Nicolò Piccioni è un collaboratore di lunga data di Rocco, conosciuto a Roma anni fa. Diplomato in documentario presso la Scuola di Cinema Luchino Visconti, Piccioni ha già firmato videoclip e reportage insieme all’artista. Dopo una pausa di qualche anno, i due tornano a lavorare fianco a fianco con una visione condivisa e una forte urgenza espressiva.

«Per entrambi questo video è diventato una missione di denuncia. E credo che questo emergerà chiaramente nel risultato finale» - Rocco Giordano.

“M1” è, in definitiva, un’opera intensa, viscerale, che intreccia biografia personale, impegno politico ed estetica visionaria. Un invito a fermarsi, a guardare, a non voltarsi dall’altra parte: la musica può ancora scuotere le coscienze.

Giordano: l’artista parla di sé
Ho iniziato a suonare la chitarra a 15 anni, dopo aver provato con la batteria, a quel tempo era il boom della musica metal e ho avuto una formazione adolescenziale da metallaro, anche se gli amici di famiglia mi avevano fatto scoprire e amare la musica degli anni ‘70.

Come chitarrista, nonostante questo, l'influenza più grande di quel periodo è stata quella di David Gilmour: poche note e suonate col cuore. Poi, crescendo e con un po’ di nostalgia dei tempi passati, ho cominciato a studiare lo Zakk Wilde dei primi anni, mentre adesso mi sto appassionando a John Mayer. Il mio stile musicale, che definisco all’interno del rock, risente molto dell'influenza di David Gilmour, dell'uso del bending, delle sonorità dolci che però fanno emergere il chitarrista mancino che è in me che, da buon hendrixiano, durante il live, non disdegna mai di suonare la chitarra con i denti, dietro le spalle, e in tutti i modi possibili (manca solo che dia loro fuoco, ma ho poche chitarre a cui tengo troppo, nonostante le maltratti per farle suonare sempre meglio). Ho pubblicato numerosi EP, il primo a poco più di vent’anni di età si intitolava “Rocco e i suoi fratelli”. Con quel nastro sono riuscito a consolidare il corteggiamento di Lella, alla quale chiedevo la mano da sette mesi. Poi c’è stato un periodo di sporadiche registrazioni, perché nel frattempo cresceva la passione per la fonia, poi il mio lavoro come tecnico backliner con Agorà Service per Cocciante, Pausini, Tozzi e Ruggeri, le serate con la mia band “Alta Tensione”, gli studi a Roma con Gianfranco Diletti, Marco Manusso, Maurizio Boini, il guitar cap e le prime esperienze per strada, poi ancora una lunga pausa di riflessione e quindi gli EP “Virgole”, “Lockdown”, lo strumentale “Ale”, e finalmente la raccolta “Mary Poppins”, realizzata mentre al Pigneto mi esibivo tutti i giorni sul ponticello del quartiere e da cui nasce l'EP “Chitarre di strada”, un lavoro grezzo, pieno di errori, registrato dentro la reception di un albergo e mixato dall'amico Carlo Melodia. Carlo ha avuto anche un ruolo di spicco nell'interpretare la sofferenza che si cela nell'EP “Io non sono re”, rendendo al massimo ciò che volevo trasmettere. Amo la musica e amo suonare. Di recente ho scoperto John Mayer e adoro il suo pensiero musicale, spesso mi definisco più un artigiano che un artista perché vivo la musica in tutta la sua umiltà. È anche vero che i sentimenti si vivono ma si trasmettono, e attraverso la musica io vorrei trasmettere emozioni al pubblico, vorrei che il pubblico si emozionasse, si innamorasse, che vivesse, soffrisse, amasse e reagisse insieme a me. La cosa più bella del suonare per strada è lo sguardo di una bella ragazza che, mentre si abbassa per donarti una moneta, ti sorride dolcemente: è lì che capisci che stai facendo la cosa giusta. D’altra parte, è anche vero che nel momento in cui non sei davvero presente a te stesso diventi in un certo senso trasparente. Ma una cosa non cambia mai: quando scendi dal piedistallo di artista e torni essere umano il pubblico lo sente e a volte nasce un amore.

Giulio Berghella